Prima di tutto l’Iva all’Erario, poi la crisi

Nel sanzionare penalmente l’omesso versamento dell’imposta, se superiore a una data soglia, il legislatore ha inteso anteporre quell’adempimento a qualsiasi altra scelta imprenditoriale

La vicenda trae origine dalla contestazione in capo al rappresentante legale di una società a responsabilità limitata del mancato versamento dell’Iva relativa al 2010 per l’ammontare complessivo di 386.903 euro.

Il tribunale di Bergamo, prima, e la Corte d’appello di Brescia, poi, hanno condannato alla pena di legge l’imputato, per il reato di cui all’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000.
L’imputato, quindi, ricorre alla suprema Corte per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, deducendo:

  • la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera e), cpp, perché la Corte territoriale, da un lato, aveva affermato che non risultavano provate in fatto le circostanze da lui dedotte a giustificazione del mancato versamento dell’Iva 2010 e, dall’altro, aveva motivato tale tesi estrapolando dai bilanci dati del tutto inconferenti
  • la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera c), cpp, perché la Corte territoriale non aveva seguito l’orientamento di legittimità secondo cui la colpevolezza poteva essere esclusa qualora l’imputato avesse dimostrato che la crisi di liquidità, intervenuta al momento della scadenza del termine per la dichiarazione annuale relativa all’esercizio precedente, non fosse a lui imputabile, e che non potesse essere altrimenti fronteggiata con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale. La Corte territoriale non aveva valutato l’esigibilità in concreto della prestazione. 

A giudizio del ricorrente, l’omissione dell’Iva era dipesa da due fattori assolutamente imprevedibili, in un contesto di crisi economica già in corso da diversi anni:

  • il venir meno del più importante cliente
  • le dimissioni di circa 40 dipendenti assorbiti proprio dal cliente. 

Pertanto, non solo la sua società si era trovata improvvisamente priva degli introiti del suo principale cliente, ma si era inaspettatamente dovuta far carico di rilevanti importi per il trattamento di fine rapporto, le tredicesime e le ferie non godute. Il combinato disposto di questi due fattori aveva portato a fine 2011 un ammanco di circa 400mila euro.

La Corte territoriale aveva affermato che, a fronte del calo del fatturato tra il 2010 e il 2011, erano proporzionalmente calati anche i costi. Illogico, a giudizio del ricorrente, sostenere pertanto che il calo dei costi, per poche decine di migliaia di euro, potesse in qualche modo controbilanciare il dato inequivocabile della perdita di 400mila euro di fatturato.
Né la Corte d’appello aveva preso in considerazione gli argomenti difensivi sulla repentinità della crisi.

Pronuncia della Cassazione
La suprema Corte (sentenza n. 39500 del 29 agosto 2017), nel respingere il ricorso del contribuente, assume contezza delle affermazioni della Corte territoriale, che ha ritenuto la crisi non improvvisa e imprevedibile e che, sul punto, il ricorrente non ha dedotto alcun argomento decisivo a confutazione del giudizio.
In sostanza, per la Cassazione, la Corte d’appello ha spiegato che l’Iva è un’imposta percepita da terzi, ma da versare all’Erario, sicché è dovere dell’imprenditore operare la scelta del rinvio del versamento in un quadro di ragionevolezza economica che, salvo eventi imprevedibili, sia tale da far ordinariamente presumere che il versamento, con l’aggiunta dei previsti interessi, possa sempre posticipatamente avvenire. Laddove tale ragionevolezza sia esclusa, l’imprenditore assume coscientemente (e dolosamente) il rischio di non ottemperare al versamento del dovuto.

Nel sanzionare penalmente l’omesso versamento dell’Iva a debito, se di importo superiore alla soglia di legge, il legislatore ha inteso anteporre il versamento stesso a qualsiasi altra scelta imprenditoriale (pagamento di stipendi, fornitori, pregressi debiti erariali), privilegiando quindi il pagamento dell’imposta, scelta che risponde a criteri di priorità non sindacabili e che non viola norme di rango costituzionale.

Orbene, il ricorrente non ha dedotto argomenti convincenti in merito alle scelte imprenditoriali compiute per giustificare l’omesso versamento dell’Iva, limitandosi a riportare uno stralcio delle dichiarazioni di una teste, la quale ha affermato che il loro miglior cliente aveva deciso di vendere a una cordata americana, che i dipendenti erano passati ad altra società con diminuzione del fatturato, nonché a contestare la lettura dei bilanci da parte della Corte territoriale. Non ha invece allegato, se non genericamente, la repentinità della crisi, né ha indicato le misure prese per fronteggiarla.

Nel caso concreto, pertanto, il contribuente non ha dedotto alcun elemento che abbia potuto convincere la Corte territoriale che la prestazione del versamento dell’Iva fosse inesigibile nelle condizioni in cui si trovava non per sua colpa.

Salvatore Tiralongo