Dl “Rilancio”, cancellazione Irap valida se l’esercizio è “a cavallo”

L’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 28/E del 29 maggio 2020 fornisce delle precisazioni sulla cancellazione dei versamenti Irap introdotta dal decreto “Rilancio” (articolo 24 del Dl n. 34/2020), con particolare riguardo ai soggetti che esercitano la propria attività in periodi d’imposta non coincidenti con l’anno solare.

Tale disposizione prevede espressamente che “non è dovuto il versamento del saldo dell’imposta regionale sulle attività produttive relativa al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019, fermo restando il versamento dell’acconto dovuto per il medesimo periodo di imposta. Non è altresì dovuto il versamento della prima rata dell’acconto dell’imposta regionale sulle attività produttive relativa al periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, nella misura prevista dall’articolo 17, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435, ovvero dall’articolo 58 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157; l’importo di tale versamento è comunque escluso dal calcolo dell’imposta da versare a saldo per lo stesso periodo d’imposta”. In sostanza la norma abroga il saldo Irap 2019 e la prima rata dell’acconto 2020.
L’Agenzia ricorda che la norma, inoltre, non trova applicazione per alcune categorie individuate nel successivo comma 2. Si tratta, in particolare, dei soggetti:

  • che determinano il valore della produzione netta secondo gli articoli 7 e 10-bis del Dlgs n. 446/1997
  • indicati nell’articolo 162-bis del Tuir
  • con volume di ricavi o compensi superiori a 250 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del Dl Rilancio.

In sintesi, l’agevolazione Irap prevede che:

  1. il saldo relativo al periodo d’imposta 2019 non è dovuto. È invece dovuto il relativo acconto, suddiviso nelle rate legislativamente previste
  2. l’acconto per il periodo d’imposta 2020 è dovuto al netto della prima rata, ossia costituiscono oggetto di versamento soltanto la seconda rata dell’acconto e il saldo
  3. le disposizioni in commento hanno applicazione generalizzata, con esclusione dei soli soggetti espressamente individuati.

Di conseguenza, l’articolo 24 del Dl n. 34/2020, salvo eventuali modifiche in sede di conversione, esplica i propri effetti anche nei confronti di tutti i soggetti per i quali il periodo d’imposta non coincide con l’anno solare (esercizi “a cavallo”).
Restano, ovviamente, le peculiarità legate a tale circostanza e ai corrispondenti termini di versamento. La risoluzione in esame, quindi, ricorda che come indicato dall’articolo 17 del Dpr n. 435/2001:

  • per i contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, il versamento sub a) deve avvenire entro il 30 giugno e quello sub b) entro il medesimo termine (prima rata dell’acconto) ovvero entro il 30 novembre (seconda rata dell’acconto). In pratica, tali soggetti non sono tenuti a effettuare i versamenti di giugno 2020
  • per i contribuenti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare, invece, i versamenti devono avvenire entro l’”ultimo giorno del sesto mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta” (saldo periodo precedente e prima rata dell’acconto) e l’”ultimo giorno dell’undicesimo mese dello stesso periodo d’imposta” (seconda rata dell’acconto).

La risoluzione n. 28/2020, quindi, evidenziando l’importanza di individuare il “periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019”, fornisce la seguente tabella con alcune esemplificazioni:

Contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare
Periodo d’imposta I° acconto entro dovuto II° acconto entro dovuto Saldo entro dovuto
1.01.2019

31.12.2019
30.06.2019 30.11.2019 30.06.2020 no
1.01.2020

31.12.2020
30.06.2020 no 30.11.2020 30.06.2021

Contribuenti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare
Periodo d’imposta in corso al 31.12.2019 I° acconto entro dovuto II° acconto entro dovuto Saldo entro dovuto
1.07.2019

30.06.2020
31.12.2019 31.05.2020 31.12.2020 no
Periodo d’imposta in corso al 31.12.2020 I° acconto entro dovuto II° acconto entro dovuto Saldo entro dovuto
1.07.2020

30.06.2021
31.12.2020 no 31.05.2021 31.12.2021

Coeredi e bonus ristrutturazione: possibile il trasferimento di quote

L’utilizzo delle rimanenti rate del bonus ristrutturazione su beni divisi per successione è possibile, nel caso di cessione della quota da parte dell’erede che ha sostenuto la spesa, che permette agli altri comproprietari di divenire titolari esclusivi dei fabbricati, legittimati a fruire delle quote residue di detrazione nei successivi periodi d’imposta. Stessa circostanza si avrebbe nell’ipotesi, alternativa, di divisione notarile della sola nuda proprietà tra tutti gli eredi del de cuius. Questa, in sintesi, la risposta fornita dall’Agenzia delle entrate con la risposta n. 142 del 22 maggio 2020 ad un dubbio sollevato da una dei tre figli del de cuius.

Il caso riguarda una comunione ereditaria relativa a due fabbricati, ad oggi concessi in locazione a terzi, che dal 2000 appartengono, a seguito di successione, alla moglie del de cuius, che detiene il 33,33% della nuda proprietà, e ai tre figli titolari del 66,66% della proprietà (22,22% per uno) e dell’usufrutto della parte della madre, nella misura dell’11,11% ciascuno.
Sulla proprietà sono stati eseguiti, nel corso degli anni 2013, 2014 e 2017, interventi di ristrutturazione edilizia la cui spesa è stata sostenuta interamente dalla madre,in qualità, rispettivamente, di proprietaria e nuda proprietaria che, di conseguenza, ha maturato il diritto alla detrazione del 50% della spesa effettuata. Come previsto dall’articolo 16-bis del Tuir il rimborso delle spese documentate, fino a un ammontare di 96mila euro, per gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, è ripartito in dieci quote annuali costanti e di pari importo nell’anno di sostenimento delle spese e in quelli successivi.

La richiesta alla base dell’interpello riguarda la possibilità di trasferire le quote della detrazione ancora non fruite dalla madre che ha sostenuto la spesa ai figli: l’istante chiede, al fine di fruire  unitamente ai due fratelli, delle residue quote di detrazione, quale comportamento la madre dovrà adottare, o meglio se vendere o donare loro la sua quota di nuda proprietà o, in alternativa, procedere alla divisione notarile del suddetto diritto reale solo tra loro.

L’Agenzia delle entrate, entrando nel merito della risposta, ricorda che tra i soggetti che hanno diritto alla detrazione rientrano, nel caso abbiano sostenuto la spesa e questa sia effettivamente rimasta a loro carico, non solo il proprietario o il nudo proprietario dell’immobile, ma anche chi fruisce dei diritti reali di godimento di uso, usufrutto e abitazione.
Il comma 8 dell’articolo 16-bis del Tuir, inoltre, dispone che in caso di vendita dell’unità immobiliare su cui sono stati effettuati i lavori di ristrutturazione, il diritto alla detrazione non ancora utilizzata viene trasferito, nella misura delle rate ancora da rivendicare e salvo diversi espliciti accordi delle parti in fase di stipula del contratto di compravendita, all’acquirente persona fisica. I tecnici dell’Agenzia ricordano anche che, nonostante il legislatore nella norma abbia utilizzato il termine “vendita”, la cessione del credito trova applicazione anche per tutte le altre forme di cessione dell’immobile, anche in quelle a titolo gratuito, come per esempio la donazione (circolare n. 13/E del 31 maggio 2013).

In caso di costituzione del diritto di usufrutto, sia a titolo oneroso che a titolo gratuito, invece, le quote della detrazione non fruite non si trasferiscono all’usufruttuario e rimangono di spettanza del nudo proprietario, in quanto questa specifica circostanza non soddisfa l’ipotesi di trasferimento di proprietà del bene e, anzi, costituisce più diritti reali sullo stesso.

L’alienazione di una quota della proprietà non sancisce il trasferimento del diritto alla detrazione residua, infine, perché la norma prevede che ciò avvenga solo nel caso di cessione dell’intero immobile. Unica eccezione a quest’ultima disposizione è che la cessione della quota determini che la parte acquirente, con la porzione conseguita, diventi proprietaria esclusiva dell’immobile, come esposto nella stessa circolare n. 13/2013.

Delineato il quadro completo, nel caso oggetto dell’interpello, l’Agenzia conclude che nell’ipotesi di cessione da parte dalla madre, a titolo gratuito o oneroso, questa perderà l’intera titolarità degli immobili a favore dei figli, i quali, consolidando l’usufrutto e la nuda proprietà, sarebbero legittimati a fruire delle quote residue di detrazione Irpef nei successivi periodi d’imposta. Stessa circostanza si avrebbe qualora dovesse privilegiarsi l’ipotesi, alternativa, di divisione notarile della sola nuda proprietà tra tutti gli eredi del de cuius, posto che il diritto reale (nuda proprietà) sarà attribuito a favore dei figli.

Invio tardivo fatture immediate: festa o non festa è sanzionato

La trasmissione al sistema d’interscambio (Sdi) della fattura immediata, eseguita oltre il dodicesimo giorno dall’effettuazione dell’operazione – come stabilisce l’articolo 21 del decreto Iva – ma comunque entro i termini della liquidazione periodica, è punibile con la sanzione da 250 a 2mila euro per ciascuna operazione tardivamente documentata. Un po’ meno se si sfruttano gli sconti del ravvedimento operoso.

È quanto precisa l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 129 del 14 maggio 2020, arrivando alla conclusione che, a tale tipologia di adempimento, non è possibile applicare la disposizione normativa, secondo cui “i versamenti e gli adempimenti, anche se solo telematici, previsti da norme riguardanti l’Amministrazione economico-finanziaria che scadono il sabato o in un giorno festivo sono sempre rinviati al primo giorno lavorativo successivo” (articolo 7, lettera h), Dl n. 70/2011).
L’istante, infatti, avendo inviato in ritardo tramite Sdi fatture immediate del 31 dicembre 2019, e precisamente il giorno successivo allo scadere del dodicesimo, in quanto il 12 gennaio era festivo, riteneva possibile “emendare” l’intempestività senza sanzioni, applicando la norma del 2011.

Come in sintesi anticipato, per l’Agenzia non è così, perché la disposizione in argomento riguarda solo gli adempimenti che il contribuente deve assolvere nei confronti dell’amministrazione finanziaria, mentre la fattura (analogica o elettronica) è destinata alla controparte contrattuale, affinché quest’ultima possa esercitare alcuni diritti fiscalmente riconosciuti (detrazione dell’Iva e deduzione del costo). Pertanto, ai tempi di trasmissione dei documenti contabili in questione, si applica il comma 4 dell’articolo 21 del decreto Iva.
In particolare, da questa disposizione si ricava che la fattura deve riportare la data di effettuazione delle operazioni ed essere emessa entro dodici giorni da questa.

Nel caso di fatture elettroniche, attratte nel perimetro dell’articolo 21, il chiarimento è contenuto nella circolare n. 14/2019, nella quale è stato precisato che “la facoltà di emettere la fattura entro dodici giorni riguarda tutte le fatture, comprese quelle elettroniche veicolate tramite Sdi”. In tale circostanza nel documento deve essere indicata la data dell’operazione mentre la data di emissione è valorizzata direttamente dallo Sdi all’atto della trasmissione del file al sistema.

Tanto premesso, è evidente che al caso prospettato, si applicano le sanzioni previste dall’articolo 6 del Dlgs n. 471/1997. Per la precisione, quella stabilita nel comma 1, ultimo periodo stesso articolo, fissata tra i 250 e i 2mila euro quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo.

Il contribuente, comunque, potrà ridurre la penalità avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso, regolato dall’articolo 13, del Dlgs n. 472/1997.

COMMERCIALISTA E REVISORE CONTABILE

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